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Partorire a NY : il racconto di Roberta

Qualche mese fa, ho avuto il piacere di poter conoscere Roberta. Una ragazza dolcissima e molto simpatica, con cui ogni tanto chicchere su Intagram. Mi ha raccontato la sua storia, la sua avventura da mamma a NY. Oggi sul blog troverete il racconto del suo parto oltre oceano.

BUONA LETTURA ✌🏼

La mia esperienza oltre oceano, inizia quando quelle due lineette fecero capolino una tiepida mattina di maggio in quel di New York City.

Vivevo nella grande mela da soli tre mesi e l’idea di affrontare una gravidanza così lontano da casa, senza conoscere nessuno, solo io e mio marito, senza…la mamma!!! mi spaventava, ma allo stesso tempo sentivo una forza interiore come mai nella vita e avevo la sensazione che ce l’avrei fatta. Scegliemmo  un’assicurazione medica (a NY senza assicurazione medica sei letteralmente morta, i costi delle visite sono insostenibili ed è davvero indispensabile) che fa riferimento alla struttura ospedaliera Mount Sinai, un ottimo ospedale di New York. Sarei stata seguita da un team di ostetriche che si sarebbero alternate ad ogni visita, e da un ginecologo solo nel caso di patologie o problematiche particolari. Decidemmo comunque di affidarci per la prima visita ad un ginecologo italiano di NY, il quale ci tranquillizzò e ci fece vedere per la prima volta il nostro piccolino. Mio marito lavorava da mattina a sera, e le mie giornate trascorrevano tra cibo, spesa, cibo, camminate per Manhattan, ancora cibo 😂😂.

Il mio ospedale di riferimento si trovava dall’altra parte della città, e gli spostamenti là non sono semplicissimi (noi non avevamo automobile) al di là della metro, mi affidavo ad Uber o Lyft o ai taxi (i cui conducenti guidavano non proprio da manuale e le strade di NY sono piene di buche come uno scolapasta). Fortunatamente noi abitavamo in Upper East Side, una bella zona residenziale fornita di tutti i servizi e raggiungibili a piedi, Avevo la tranquillità di avere un numero telefonico che faceva riferimento alle ostetriche in caso di problemi o emergenze. Le visite erano sempre scrupolose, precise e attente…forse troppo…tant’è che un giorno ricevemmo una telefonata dall’ospedale in cui mi venne comunicato, a seguito delle mie analisi del sangue, di essere affetta da una grave patologia che avrebbe coinvolto anche mio figlio e con pesanti conseguenze.

In quel momento mi crollò il mondo addosso e…dopo svariate ricerche…si scoprí che la così grave patologia a cui facevano riferimento era semplicemente l’anemia mediterranea (microcitemia) di cui sapevo perfettamente di essere portatrice e che non crea particolari problemi a me, ne al nascituro, tranne nel caso in cui ne risulti affetto anche il padre (cosa che non era). In Italia è una patologia molto nota e diffusa ma negli Stati Uniti no e da lí tutta la confusione e lo spavento ingiustificato. Comunque passò anche quella.

La mia gravidanza si caratterizzò soprattutto per…la fame!!! Ho messo su 30 chili al termine delle 40 settimane, ma per le ostetriche sembrava non costituire un problema, solo durante le ultime settimane si sono limitate a vietarmi la pasta tutti i giorni ed i dolci. Nonostante le varie difficoltà dettate soprattutto dalla lingua (un conto è parlare inglese, un conto è comprendere al 100% i termini medici che utilizzavano, riguardanti gravidanza-parto-neonato 😫)

Portammo a termine il corso pre-parto composto da 4 lezioni in totale (e a pagamento) che si è poi rivelato utile.

Il termine era previsto per il 27 dicembre ma nonostante le ripetute contrazioni preparatorie il nostro Riccardo preferiva stare dov’era. Successivamente all’ecografia del 29 dicembre, in cui il bambino risultava essere già più di 4 chili e io di avere troppo liquido, decisero di programmare il parto a breve con induzione.

Così il primo gennaio 2017 ci recammo all’ospedale Mount Sinai di New York City per iniziare l’induzione programmata.

Ore 6 del mattino del primo gennaio 2017: ci presentiamo puntuali all’accettazione dell’ospedale e ci accoglie un’infermiera con piume rosse in testa, tra cui faceva capolino una scritta argentata “happy new year”. Beh penso tra me e me, almeno il personale sarà simpatico…😫😫

Dopo una prima visita con un ginecologo, il quale mi prospetta un quasi certo parto cesareo ,viste le dimensioni e il peso del bambino, decisero comunque di provare la via del parto naturale procedendo con l’induzione. Il primo step consisteva, in una capsulina introdotta in sede allo scopo di dilatare e permettere l’inserimento di un palloncino, il quale avrebbe rilasciato l’ ossitocina e a far partire le contrazioni. Dopo parecchie ore, la famosa capsulina inizia a fare effetto e si parte con il palloncino (decisamente doloroso). Durante tutte queste ore vengo seguita da un’ostetrica meravigliosa, dolcissima, professionale ma umana, un angelo: Joyce, la quale decise di continuare il suo turno, nonostante fosse terminato, per far nascere lei stessa il nostro bambino. Mi portava la sedia a dondolo, abbassava le luci, mi massaggiava le gambe durante i dolori più intensi, insomma un vero angelo. Dopo parecchie altre ore si passó alla flebo di ossitocina (nel frattempo sono passate circa 16 ore) e qua non si scherzó più…i dolori picchiavano forte e reclamavo un’epidurale senza esitazione, la quale fece effetto per circa due ore, al termine delle quali mi spiegarono, che il mio organismo si era abituato al farmaco e non faceva più effetto. Così mi fecero una seconda dose di epidurale. Alle 2 del mattino del 2 gennaio, ci fu la rottura delle acque e da lì fu tutto più veloce.

Io continuo a masticare ghiaccio e non dimenticherò mai, quella sensazione di sete così forte mai provata nella vita (non potevo bere nè mangiare dal momento del ricovero) e mio marito, che è sempre rimasto con me faceva avanti e indietro dalla macchina del ghiaccio posta nel corridoio adiacente. La dilatazione fu completata e io iniziai a spingere. Dopo poche spinte mi resi conto della fretta con cui le infermiere preparano la culla, la cuffietta per il bimbo, lenzuolini e attrezzi vari e da capì che mancava poco. Al Mount Sinai non c’è una sala parto ma ogni donna partorisce nella stessa stanza in cui ha iniziato il travaglio, confortevolissima, ampia, dotata di bagno privato, e molto pulita)

Joyce mi diceva che ero bravissima, che stavo facendo un ottimo lavoro. Io mi impegnai al massimo, mi concentrai, ripensavo a tutte le tecniche insegnate al corso preparto.

Ad un certo punto sentì l’ostetrica urlare: “Don’t push-don’t push!” Si mise a correre nel corridoio urlando :”shoulder”.

Quando riaprì gli occhi dalla spinta e mi ritrovai 7 persone nella mia stanza, di cui due sopra al letto…

Sistemarono una parte a scomparsa dal letto, io iniziai un’ultima spinta e Riccardo nacque. Alle 5.50 del 2 gennaio 2017 e con parto naturale ho dato alla luce il mio bambino di 4.355 kg!!! lì sul mio petto con i suoi occhioni azzurri aperti che osserva noi e il mondo. Dopo alcune operazioni di “assestamento” entrarono in camera mia mamma ed i genitori di Sergio, volati tutti a New York per l’occasione. La commozione lasció spazio ad una gioia immensa per l’incredibile creatura che tenevo tra le braccia e per avercela fatta. È stato bellissimo!!!!

Vi lascio il link del suo profilo Ig : https://www.instagram.com/lalopyzrodedal

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